domenica 25 aprile 2010

ALICE NEL PAESE DELLA NOIA


Noioso cominciare con un “ve l'avevo detto”. Più semplice esordire con una convinzione: 'Alice in Wonderland' è il film più fiacco e deludente di Tim Burton. Difficile non pensare alle pastoie disneyane. Difficile non credere che una cosa è dare vita a una sceneggiatura di John August (Minority Report,Big Fish,La Sposa cadavere). Un'altra è seguire un copione di Linda Wolverton (Il Re Leone....). Spesso, purtroppo, certi dettagli diventano decisivi.
Ma al di là dei difetti dello script, la domanda che sorge è un'altra: dov'è finito il Burton che amiamo? Le visioni, le follie, i colori, le citazioni, la cattiveria, la fiaba nera...che occasione sprecata.
Partiamo dalla storia. Telefonata è un eufemismo. Tutto quello che vedi già te lo aspetti 4 secondi prima. Il viaggio di Alice è previsto e conformista. Lo stupore è un dettaglio. La passività della protagonista, l'insipida Mia Wasikoska (roba che la Christina Ricci di 'Sleepy Hollow' è da Oscar), diventa anche la passività dello spettatore, trascinato a forza in questa carrellata di personaggi. Tutti, rigorosamente, appaiono come ce li si aspetta. E via verso questo benedetto giorno 'Gioiglorioso', col rischio di addormentarsi prima della fine.
Passiamo ai temi burtoniani. La critica alla plastificata società americana. Sopravvive nella stramba corte della Regina Rossa. Quei nasi finti, quelle panze posticce da commedia dell'arte. Il messaggio è chiaro. Tutto troppo breve però. Burton, non sei pervenuto.
Il rapporto padre-figlio. La partenza è incoraggiante. Si ma poi? Burton (o chi per lui) preferisce sbrodolare con i 'Tagliategli la testa', anziché approfondire l'incidenza della memoria paterna nei sogni di Alice. Anche qui, il buon Tim non è pervenuto.
I teneri freak burtoniani. Difficile non pensare a Jack Sparrow, Willy Wonka e Ichabod Crane quando comincia a saltellare il Cappellaio Matto di Depp. Un grande attore, per carità. Ma se continua così, rischia di aggrovigliarsi sulla parodia di se stesso e perdere, così, credibilità. Forse, Tim, avrebbe potuto dirigerlo in maniera diversa. Insomma, il freak stavolta è troppo colorato, troppo 'già visto'. Troppo.
Ho visto Tim Burton in quelle dita mozzate maneggiate dalla Regina Bianca (Anne Hathaway, per me la migliore). Quanto, 10 secondi? Non ho mai sentito il cuore fremere. Non ho mai visto la telecamera rischiare.
Ho assistito all'ennesima operazione puramente commerciale, dove il tocco autorale è stato inibito.
Triste che anche il buon Tim, notoriamente diffidente verso i meccanismi hollywoodiani (Sweeney Todd aveva chiarito questa lontananza d'intenti), forse per ragioni imponderabili si sia dovuto allineare.
Sogno un nuovo film di Burton senza la Bonham Carter e Depp. Sarebbe già un buon punto di partenza. Intanto questo, deliranza o non deliranza, sarà dimenticato molto velocemente.
Ed è la cosa peggiore che possa capitare, nel Cinema.