venerdì 16 settembre 2011

30 ANNI AL CINEMA. QUELLO CHE E' SUCCESSO UN MINUTO DOPO LA FINE DEL FILM


Domani compio 30 anni. A casaccio tutto quello che è successo, al mio cinema. Soprattutto cosa è successo nella mia testa un minuto dopo la fine del film:

- BATMAN (1989, Tim Burton): Avevo 8 anni e ricordo di essermi coperto gli occhi per la paura almeno 4 volte. Fifone. Innamorarsi di Kim Basinger. Ignorando l'esistenza di '9 settimane e 1/2'
- MILLION DOLLAR HOTEL (1998, Wim Wenders): Il giorno in cui ho capito, più o meno a 17 anni, che esistono i film veramente brutti.
- MATCHPOINT (2005, Woody Allen): Idolatrato da critica e pubblico. Per me una ciofeca non indifferente, la moralina finale appiccicaticcia. Il giorno in cui ho deciso che forse avrei fatto meglio a fare il giornalista.
- THE INSIDER (1999, Michael Mann): Film adulto e complesso che a 18 anni non ho capito. Ricordo di aver pensato di aver buttato 8mila lire. Rivisto qualche anno dopo, elevato da me a capolavoro, ho capito che per tutto c'è una maturità.
- MYSTIC RIVER (2003, Clint Eastwood): In questo caso è stata una ragazza a non farmi seguire tanto il film. Il giorno dopo compro Ciak e vedo che gli danno 5 stelle su 5. Votazione mai vista sulla rivista. Lo rivedo e mi rendo conto.
- SIDEWAYS (2005, Alexander Payne): Visto due volte al cinema. Un inno alla vita difficilmente ripetibile, un film così bello che lo rivedrei tutte le sere.
- FORREST GUMP (1995, Robert Zemeckis): Adolescenzialmente considerata pellicola memorabile. Si cresce e si rivaluta in negativo il Gumpismo. Con tutti questi fenomeni a piede libero che non riescono ad andare al di là del proprio naso.
- THE UNTOUCHABLES (1987, Brian De Palma): La cassetta Vhs l'ho consumata. Piango tutte le volte. Un film perfetto. E chi dice che manca il cuore non ha capito niente.
- THE SOCIAL NETWORK (2010, David Fincher): Anche lui fa parte della lista dei film visti 2 volte al cinema. Uscito dalla sala ero dispiaciuto che fosse finito così in fretta. Anche qui, film troppo complesso che diventerà culto tra qualche anno.
- LA BELLA E LA BESTIA (1993, Disney): Era Natale, avevo qualche linea di febbre, a Lanciano il cinema non c'era e mamma mi portò a Pescara. Mai stato così felice. Tra i cartoni di quegli anni forse il migliore.
- SPIDERMAN 3 (2007, Sam Raimi): La più grande delusione. Dopo lo splendido capitolo secondo, il buon Peter Parker mi crolla con un film con un secondo tempo orribile. Amen, peccato.
- VIDEODROME (1983, David Cronenberg): Visto molti anni dopo in dvd, mi ha aperto un mondo. Alla prima visione un cazzottone nello stomaco. Scuola di metafore.
- UP (2010, Pixar): Ho pianto tanto.
- LE IENE (1992, Quentin Tarantino): Il film più bello di Tarantino. Un'idea di noir poi sviluppata poco nei suoi film successivi
- BASTARDI SENZA GLORIA (2009, Quentin Tarantino): Ecco: film sopravvalutato e a tratti inutile.
- THE PASSION (2004, MEl Gibson): Film devastato dalla critica. A me è piaciuto, e pure tanto. Inaspettatamente commovente in più momenti
- THE PRESTIGE (2006, Christopher Nolan): Non c'è Batman che tenga: il miglior film di Nolan
- HEAT (1995, Michael Mann): Concludo col capolavoro di Mann. Milioni di imitazioni, rimane il più grande polar della storia assieme a 'Frank Costello faccia d'angelo' di Melville. Applausi a spellarsi le mani.

mercoledì 14 settembre 2011

ARONOFSKY, CRONENBERG, POLANSKI. TRE REGISTI, DUE TIPOLOGIE DI PUBBLICO, UN SOLO CINEMA


La Mostra del Cinema di Venezia è stata vinta dal film 'Faust' del russo Alexander Sokurov. Ammetto l'ignoranza: lo conosco pochino. Ma se l'hanno premiato un motivo ci sarà. Come quando a Cannes hanno dato la Palma d'Oro nel 2008 a 'Entre le murs' (La Classe, da noi). Un motivo c'era: la sera prima la giuria intera aveva bisbocciato alla trattoria 'Il curvone'. Ma quest'anno non mi interessa tanto sottolineare quanto sia chic il film che ha vinto. Mi interessa richiamare tre registi che si sono incontrati al Lido: Roman Polanski (che con 'Carnage' doveva vincere. Doveva.), David Cronenberg (Sua Maestà) e Darren Aronofsky (presidente di giuria, ma a lui sicuramente il film di Sokurov non è piaciuto).

Se c'è un concetto di cinema hollywoodiano intimo e personale, beh quel disegno di celluloide potrebbe avere la testa di Polanski (74 anni), il cuore di Cronenberg (68 anni) e i gesti di Aronofsky (42 anni). Trent'anni di discesa nell'incubo raccontata con grande classe. Tutti e tre hanno scelto, in epoche diverse, di raccontare storie di uomini e donne soli nella loro apocalisse. Senza retorica, con copioni ricolmi di segni e significati. E c'è qualcosa che mi piace nelle generazioni che furono e che non mi piace nelle generazioni che sono. Quell'essere immediatamente riconoscibili per cifra stilistica, quell'essere assolutamente personali e singolarmente spiazzanti come accade ai tre cineasti oggi non colpisce più. O meglio. Alcuni anni fa Polanski veniva fuori con 'Repulsion', 'L'inquilino del terzo piano' e 'Rosemary's baby', tanto per citarne tre. L'impatto su quel pubblico fu devastante, a cavallo degli anni '70.

Oggi uomini e donne di mezza età non solo ricordano la bellezza di Mia Farrow (Rosemary's) o Catherine Deneuve (Repulsion). Ma ricordano anche quanto quei film fossero degli efficaci pugni nello stomaco. Stesso discorso per 'Scanners' o 'Videodrome' di Cronenberg: dagli anni '80 una traccia su quella generazione è rimasta, indelebile. I miei coetanei invece, nel 2011, non sanno chi diavolo sia Darren Aronofsky. Eppure lo vediamo lì, pacioso, nei panni di presidente della giuria della Mostra di Venezia. I suoi 5 film sono un culto per gente malata: 'Requiem for a dream' potrebbe essere il titolo di un disco dei Linkin Park. 'The wrestler' facilmente un nuovo gioco alla PlayStation3. Eppure il cinema di Aronofsky è così parallelo a quello di Polanski e Cronenberg. Cosa è cambiato? Il cinema non di certo. Il pubblico sicuramente, visto che nessuno è più capace di stupirsi. E la curiosità è una rottura di scatole. Questa generazione ha pubblicamente desautorato il cinema. La settima arte non è più un perno culturale. Quella centralità si è persa. Ci tocca rimpiangere la cultura dei nostri padri. Quando la sala era l'inizio e non la fine di una serata