domenica 16 maggio 2010

DRAQUILA, L'AFFRONTO CON POCA SATIRA E MOLTO GIORNALISMO


Un cittadino aquilano sorride alla telecamera. Afferra fiero, incredulo, un vaso di plastica con dentro delle spighe di grano, finte. Il contenitore è griffato 'Protezione Civile', con tanto di stemma. Tra le tante sequenze evocative di 'Draquila' questa, per chi scrive, è la più rappresentativa. Pochi istanti per racchiudere il punto di vista di tutta un'inchiesta. Non un documentario: nessuna narrazione. Una tesi invece. Ben sviluppata, argomentata, con un filo di retorica politica che a tratti stanca, a tratti diverte. Questo è il monstrum della Guzzanti. Morale della favola: tante chiacchiere inutili su un prodotto che andrebbe analizzato per quello che è, e non per quello che si ha paura che sia.

Impossibile depurarsi dalle polemiche di casa nostra. Ma proviamo ad analizzare 'Draquila' da esterni, come se fossimo degli spettatori groenlandesi. Si parte da un fatto di cronaca, il terremoto in Abruzzo del 6 aprile 2009. Si analizza l'intervento ricostruttivo. Si ragiona sui soldi spesi. Si fa la conta di chi è intervenuto e di come lo ha fatto. Si ascoltano cittadini, istituzioni, enti, associazioni. Insomma, una torta con tanti gusti. E uscita bene. Il sapore può piacere o non piacere. Ma credo che si possa convenire sulla genuinità dell'operazione: 'Draquila' è un'inchiesta con pochi fronzoli. Pochissima satira vera e propria, se è vero che vediamo la Guzzanti che imita Berlusconi si e no per due minuti. Una robusta critica giornalistica, invece, alla legge che dà poteri indefinibili alla Protezione Civile. Che è la vera protagonista dell'indagine. Un meltin pot di belle inquadrature, immagini di repertorio e numeri di varia natura. Il ritmo cinematografico c'è, e la mente corre al più illustre predecessore, quel 'Bowling for Columbine' di Michael Moore che hanno visto in pochi.

Arriviamo ai rischi. In fin dei conti, quasi tutto quello che ci viene mostrato è già stato raccontato dai quotidiani italiani. Dov'è il pericolo? Che all'estero ci giudichino male? Se è vero che nel Nord America, mediamente, un'inchiesta video costa quanto tutto il budget che la Rai annualmente mette a disposizione per i documentari, ci accorgiamo che il mondo non prenderà 'Draquila' come un'anomalia. Una spesa del genere sottintende una cultura, in America come in Scandinavia. Alla fine, in controluce, Sabina Guzzanti sembra suggerire una sottoconclusione: in fondo, noi italiani Berlusconi ce lo meritiamo. Ipotesi partigiana, ma legittima: non esistono inchieste senza un chiaro punto di vista. E se si ama il cinema, bisogna lasciar fare il proprio lavoro agli autori. Invitati o no, d'accordo o meno.

1 commento:

Unknown ha detto...

Bellissima recensione Paolè confermo pienamente quanto detto da te. Io ero titubante sulla Guzzanti in quanto non mi piace la sua comicità, il suo modo di fare satira ma qui sono rimasto profondamente colpito dallo spirito giornalistico. Un giornalismo che non parli della diminuzione di divieti di ingressi ai cani nei negozi, o di quanto è importante lavarsi le mani, questo è il VERO giornalismo oramai in estinzione, siamo nelle vostre mani Paolè.
tuo Robbie