giovedì 3 febbraio 2011

LA MIA VERSIONE: HO RICEVUTO UNA CAREZZA DAL BURBERO BARNEY PANOFSKY


Alcuni film sono come carezze. E, badate bene, non per forza si tratta di film d'amore. Non stiamo parlando obbligatoriamente di 'Love Story', piuttosto che di 'Harold e Maude' o di 'Insonnia d'amore'. Alcune belle pellicole, grazie a degli attori in gran forma e a un regia elegante, possiedono proprio la delicatezza di una carezza. E' il caso, sorprendente, di 'La Versione di Barney'.

La paura era la solita: libro interessante, film svilente. I casi recenti di 'Soffocare' di Pahlaniuk e 'The Road' di McCarthy (ma sul secondo il parere è molto personale, visto che il film è piaciuto a tutti tranne che a me) mi mettevano in guardia. Invece il regista Richard C. Lewis compie un mezzo miracolo: rilegge il testo di Mordecai Richler con intelligenza e passione. Sparisce quasi totalmente la cattiveria di fondo dell'immarcescibile Barney Panofsky. Quello letterario è un protagonista che non si fa amare completamente. E' distante da tutti. Sia dai personaggi che incontra, sia dal lettore. Il Barney tratteggiato in maniera superba da Paul Giamatti, invece, si porta dentro vizi e difetti di ognuno di noi. E' rissoso, ma romantico. E' indisponente, ma sensibile. E' superficiale, folle e orgoglioso. Sarà stato bravo Giamatti, ma la profondità del personaggio filmico quasi supera quella dell'eroe letterario. Il libro rimane un capolavoro. Il lavoro di Lewis non delude e coccola le aspettative.

La sceneggiatura del film, come detto, è ben bilanciata. La parabola di vita di Barney culla il lettore con una delicatezza inaspettata. Con una poesia a tratti travolgente. E alla fine ti sorprendi a immedesimarti, a tifare per lui. A volerlo come padre, se non come nonno.

Il cast a tratti ruba la scena al protagonista. Splendide le tre mogli Panofsky. Menzioni d'onore per Minnie Driver (Mrs.P) e Rosamund Pike (Miriam). La Pike in particolare, nel finale, ci regala un paio di sguardi malinconici che stringono il cuore. Azzeccate le caratterizzazioni dell'amico Boogie, dei suoceri Charnofsky e anche dello sciroccato padre Izzie, interpretato forse dal miglior Dustin Hoffmann degli ultimi dieci anni. Il tutto condito da una costante, flautata poesia.

Insomma un film che è un distico di parole sussurrate. Grottesco nella trama, illuminante nei dialoghi, malinconico nel finale. Poco graffiante, forse, rispetto al libro. Ma è pur sempre un sincero, grande cinema: ci sono pellicole tronfie che si reggono su molto meno.

Nessun commento: