venerdì 15 ottobre 2010
THE TOWN, LA SECONDA SPLENDIDA VITA DI BEN AFFLECK
Ogni fan di Michael Mann, in maniera religiosa, dovrebbe trovare un angoletto nella propria casa, incastrarci una specie di altarino e metterci su una foto di Ben Affleck.
Se 12 anni fa, alla fine della proiezione di 'Armageddon', qualcuno mi avesse detto che un giorno avrei glorificato il regista Affleck, sicuramente non gli avrei creduto. E invece mi trovo qui, esausto, a dire non solo che 'The Town' è il miglior 'robbery movie' (film basato sulle rapine) dai tempi di 'Heat'.
Ma anche che Ben Affleck è riuscito nell'impresa più difficile. Quella di non sbagliare l'opera seconda, quella storicamente più impegnativa per i giovani talenti (Chiedere a: Richard Kelly, Bryan Singer, Darren Aronofsky, Joe Carnahan ecc.). Già perché 3 anni fa in molti sobbalzarono sulla sedia davanti a 'Gone baby gone'. Il nuovo film di Ben Affleck fa di più: vince e convince.
La storia è semplice. Siamo a Charlestown, quartiere di Boston dove tutti (o quasi) rapinano banche per diletto. Il protagonista (Affleck) è un genio organizzativo e guida una banda di rapinatori. Non sanguinari, non violenti: semplicemente puliti e perfetti nell'esecuzione. Un giorno però qualcosa va storto (e qui entra in gioco il rimando a 'Heat'): il braccio destro di Affleck (Renner) per la fuga dopo il colpo si porta appresso un ostaggio, il direttore di banca.
La rapina riesce. Tutto bene? Non proprio: quel direttore di banca, rilasciato dopo la fuga, è una donna che rimane scossa per l'accaduto. Affleck decide di sincerarsi del suo decorso post traumatico. Siamo appena all'inizio del film.
Per una trama così lineare, colpisce la sicurezza del regista. Il rischio era concreto: perdersi e inciampare in una serie di luoghi comuni da serie tv di bassa lega. Invece Affleck sa cosa fare e dimostra subito di avere un pregio: lui, oltre a farlo, il cinema lo guarda. Conosce gli autori e le regole del genere: c'è Mann in tutta l'amicizia virile che lega lui e i suoi compagni. C'è Peckinpah nel crepuscolarismo di personaggi che in verità sono degli antieroi. Conosce Don Siegel e schiaccia l'acceleratore proprio nelle scene d'azioni più complesse. I dialoghi non sono mai banali, il film ha un ritmo sostenuto che non annoia, l'ambientazione urbana è di notevole impatto. E poi la profondità dei personaggi, il punto forte della pellicola. Affleck dà vita a un capobanda gentiluomo memorabile. E' un Neil McCauley (De Niro in 'Heat') meno cinico. Ma anche lui applica la famosa regola: “se vuoi fare il lavoro del rapinatore non devi avere affetti o fare entrare nella tua vita niente da cui non possa sganciarti in 30 secondi netti se senti puzza di sbirri dietro l'angolo”. E tanto mi basta.
E che dire di Jeremy Renner: la sua interpretazione conferma che le lodi ricevute per 'The hurt locker' non erano casuali. Rebecca Hall ci regala una protagonista femminile intensa, sofferta, che nelle scene finali del film ci strappa via il cuore per l'emozione. Convince anche il ritratto del poliziotto Jon Hamm. Lui probabilmente ha un faccione a modo troppo da serial televisivo. Ma il personaggio è scritto bene e la sua interpretazione regge.
E poi le rapine: adrenalina. Non è una cosa scontata: la spettacolarizzazione dei colpi in banca è un'arma a doppio taglio: puoi passare dalla noia all'esaltazione in un decimo di secondo. Invece Affleck non si abbandona ai fronzoli e ci regala un inseguimento in macchina tra i vicoli da antologia. Steve McQueen apprezza e ringrazia.
Infine....il finale. Tanto romanticismo mi ha decisamente spiazzato. E quell'espressione del volto di Affleck alla finestra, che in un attimo passa dalla delusione alla felicità pura, riassume da sola il concetto di complicità tra un uomo e una donna.
L'unico difetto: il solito Ben che si spara una marea di pose e che non si risparmia una-inquadratura-una che lo faccia apparire bello bellissimo.
Ma, a parte questo, davvero complimenti.
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mercoledì 13 ottobre 2010
INCEPTION. IL GELO NELLA MENTE. E NEL CUORE.
Può, un film sui sogni, far raggrinzire dal freddo lo spettatore? Questo mi è capitato, con 'Inception'. Alla fine della pellicola non riuscivo a dare una forma alla mia opinione. E ancora adesso, dopo giorni di faticosi ragionamenti, probabilmente non padroneggio una posizione e avrò bisogno di una seconda visione.
E non è colpa della tanto sbandierata sceneggiatura impossibile di Christopher Nolan. No. Alla fine di 'Donnie Darko', oppure di 'Mulholland Drive', pur dovendo ancora fare i conti con dei punti oscuri, ero sicuro che qualcosa fosse cambiato dentro di me. Non con 'Inception'. Un film ambizioso, nuovo, intelligente. Ma gelido. Una stalattite.
Sinossi del film: DOM COBB (LEONARDO DICAPRIO) È UN ABILE LADRO, IL MIGLIORE ASSOLUTO NELL’ARTE PERICOLOSA DELL’ESTRAZIONE, CHE CONSISTE NEL RUBARE SEGRETI PREZIOSI DAL PROFONDO DEL SUBCONSCIO DURANTE LO STATO DI SOGNO, QUANDO LA MENTE È PIÙ VULNERABILE. LA RARA CAPACITÀ DI COBB HA FATTO DI LUI UN GIOCATORE AMBITO NELL’INFIDO MONDO DEL NUOVO SPIONAGGIO AZIENDALE, MA NE HA ANCHE FATTO UN LATITANTE INTERNAZIONALE E GLI È COSTATO TUTTO CIÒ CHE HA MAI AMATO. ORA A COBB VIENE OFFERTA UNA POSSIBILITÀ DI REDENZIONE. UN ULTIMO LAVORO POTREBBE RESTITUIRGLI LA SUA VITA, MA SOLO SE RIUSCIRÀ A REALIZZARE L’IMPOSSIBILE-INCIPIT. AL POSTO DELLA RAPINA PERFETTA, COBB E IL SUO TEAM DI SPECIALISTI DEVONO FARE IL CONTRARIO: IL LORO COMPITO NON È QUELLO DI RUBARE L’IDEA, MA DI PIANTARE UNA.
Veniamo a due punti di valutazione. 1- la filmografia di Chris Nolan. Quarant'anni, 6 film alle spalle, le speranze di mezzo mondo sul groppone quale nuovo eroe della New Hollywood. Nolan era atteso al varco: alcuni avevano parlato di film 'definitivo'. Altri ritenevano giustamente 'Inception' un passaggio fondamentale: budget altissimo, libertà sconfinata (cosa inusuale per un budget così alto), e soprattutto una pellicola che si andava un po' a posizionare come sublimazione di un lungo percorso. Dal capolavoro 'Memento' (per me resta il suo masterpiece), passando per 'The Prestige' e per il riavvio del franchise di Batman, Nolan aveva fatto montare l'attesa. E soprattutto aveva stabilito quali fossero i temi del suo cinema: la mente, la memoria, il passato, la lotta del protagonista contro se stesso. Purtroppo, a mio modo di vedere, 'Inception' non rappresenta un passo in avanti nella maturazione del regista. Perché il film tratta si tutti quei temi, ma senza aggiungere niente al già collaudato ingranaggio nolaniano.
E qui veniamo al punto -2. La sceneggiatura. Scritta dal regista in perfetta solitudine, uno script covato da un decennio. Il plot del film è molto figo, molto cool, molto complesso. Ma è tremendamente statico. Non c'è un attimo di stupore visivo. Lasciamo perdere il sistema per addormentarsi (vogliamo recuperare i pad collegati alle bioporte di 'Existenz' di Cronenberg? Vogliamo risvegliare i marchingegni di 'Se mi lasci ti cancello'? Caro Nolan, mah). Parliamo delle immagini. Di cosa sono fatti i nostri sogni? Spesso di cose senza senso. Potrei incontrare mia madre vestita da Gabibbo che serve del tè in Indonesia. Potrei anche incrociare Kim Basinger che mi ferma per leggermi 'Anna Karenina' in finlandese. I sogni sono l'assurdo. Non per i protagonisti di Nolan. Passi per uno di loro: stiamo parlando di soggettività. Ma possibile che tutti si addormentino per sognare perfette metropoli post moderne? E' questo per me il grande difetto del film. Il sostanziale gelo di fondo. I protagonisti sono delle macchine. Le ambientazioni sono dei magnifici salotti dove tutto si sta per compiere in maniera meccanica. E niente stupisce. L'ambizione di entrare in un sogno altrui, al fine di indurre un'idea, è sicuramente affascinante. Ma se tutto di riduce a un'operazione di spionaggio con una serie di scontri a fuoco...io non riesco a farmi trascinare.
La città che si ripiega su se stessa? Oddio, non mi sono strappato i capelli. La storia del 'calcio'? Ingegnosa, ma la storia del 'limbo' è una scappatoia troppo semplice. E poi le lunghe spiegazioni: inaccettabile che ogni 5 minuti uno degli attori fermi il film per spiegare cosa è successo 10 minuti prima. E il cinema? E l'interpretazione? Ecco: volevo un po' di visionarietà applicata al consueto razionalismo nolaniano. E qualche concessione all'ironia: ma in 'Inception' le battute sono 2 o 3, e Di Caprio si prende così sul serio che sembra stia ancora interpretando l'indimenticabile Billy Costigan di 'The Departed'.
Il cast merita un discorso a parte. Di attorini ce ne sarebbero. A Joseph Gordon-Levitt sembra che abbiano ammazzato il gatto un attimo prima del ciak: monodimensionale. Ellen 'Juno' Page è completamente fuori ruolo. Di Caprio è bravo, ma poco credibile nel suo tormento interiore che non raggiunge lo spettatore. Marion Cotillard avrebbe un ruolo interessante, ma le sue apparizioni sono poche e sacrificate per dar spazio alla farraginosa macchina narrativa. Si salvano il glorioso Ken Watanabe (malgrado il pessimo doppiaggio italiano), che con una smorfia ti dice già tutto, e il sottovalutato Cillian Murphy, forse il personaggio più empatico di tutto il film.
Veniamo alla parte buona. Alcuni recensori hanno criticato l'eccesiva invasività della colonna sonora. A me invece ha convinto. La storia appassiona, almeno fino a quando i livelli del sogno sono fermi a 2. La macchina spettacolare è notevole. Non ci si annoia mai. L'inizio è trascinante: ho sempre adorato la scelta di questo regista di iniziare i film in MEDIAS RES. I pochi momenti visionari del film sono azzeccati: penso a una locomotiva che sbuca all'improvviso, o alla stanza in cui il vecchio miliardario attende l'ultima parola del figlio.
Sarà che odio quella sensazione di essere davanti a un colossale esercizio di stile. Ecco, 'Inception' a tratti mi è sembrato un tentativo autocelebrativo. Troppo presto, Chris. Per il film definitivo c'è ancora tempo.
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