giovedì 4 marzo 2010

THE BOOK OF ELI, LA PERFEZIONE STILISTICA HA UN CUORE


Premessa: ringrazio il Cinema perché continua, ripetutamente, a farmi tornare bambino.

"The Book of Eli" (Codice Genesi, nel solito titolo italiano cacio e maccheroni) è un film che si legge. Non mi era mai capitato, prima, di sfogliare un film. Accade, di solito, di vedere pellicole tratte da graphic novel. Ne cito due che ho amato. "Road to perdition" (Era mio padre, in Italia) di Sam Mendes e' stato tratto da una graphic novel di Max Collins e deve a quell'opera una certa fluidità narrativa. Stessa storia di "A History of violence" di David Cronenberg, tratto da una graphic novel di Vince Locke e John Wagner.
Il film di Albert e Allen Hughes, invece, proviene da una sceneggiatura originale. Possiede una forza strana: sembra suggerirti di averlo già visto, disegnato su qualche vecchio tomo impolverato. E non è tutto: il film è riuscito ad avvincermi in maniera subdola. Avevo voglia, seduto in sala, di girare la pagine per sapere. Posso dire, per quanto mi riguarda, che l'ambizioso progetto dei fratelli Hughes, quello di dare vita a una storia potente come un libro, è completamente riuscito.
L'ambientazione post-apocalittica è l'unico punto debole del film. Perché di film, libri e videogiochi immersi nella stessa atmosfera ce ne sono tantissimi. Il punto è che gli Hughes non ripetono l'operazione. Semplicemente la migliorano, la innalzano.
La fotografia mozza il fiato. In alcuni momenti sembra di fissare dei quadri. I lenti movimenti di macchina negli spazi aperti sono puliti e precisi. La tecnica narrativa è senza sbavature: di fatto lo spettatore apprende a poco a poco delle cause del disastro atomico. E non apprende tutto. Le citazioni sono tante e fantastiche: desolazioni e personaggi border-line alla John Carpenter, duelli e dialoghi alla Sergio Leone, sparatorie tra Bullitt e blaxpolitation.
E il messaggio? Potente, come la parola di un libro che rappresenta una religione. Scontato? No, se raccontato come lo raccontano gli Hughes. I colpi di scena finali non vanno svelati, quindi non dirò il mio parere sulla lettura biblica che suggeriscono i registi. Dirò solo che il film, apparentemente in maniera contraddittoria (i violenti corpo a corpo), stimola una notevole riflessione sui concetti di Fede e Speranza.
Gli attori: perfetto Denzel Washington (il suo addio al Cinema per darsi al teatro?), sempre maestoso Gary Oldman nell'incarnare un cattivo stereotipato ma più che credibile. Brava la co-protagonista Mila Kunis, sorprendente la rediviva Jennifer Beals (si si, quella di Flashdance)

I due registi di colore si sono fatti attendere. Ma l'attesa è stata ripagata. Nove anni dopo "From Hell", gli Hughes ci hanno regalato un western avanti con gli anni. Un film che sarà venerato dai posteri. Quando molto sarà irreparabile. Quando ci si appellerà soltanto alla Fede.

La splendida colonna sonora

1 commento:

Marfisiquotidiani ha detto...

Un film che convince su tutta la linea, da vedere al cinema e da conservare in Cineteca.
La sceneggiatura risulta originale e profonda il giusto per essere etichettata in pochi secondi: gli Hughes hanno fatto davvero centro, regalandoci un film che va oltre il puro intrattenimento.
Regia e fotografia di livello superiore, scene lente che vanno di pari passo con il messaggio che il film veicola.
L'ambientazione postapocalittica, pur non essendo di per se' un'idea nuova, si serve di scenografie ricche e tutte da godere.
Denzel Washington perfetto per il ruolo, forse troppo, cosi come Gary Oldam. Per fortuna c'e' Mina Kunis a rendere il comparto attoriale non propriamente adeguato (lei pur essendo bravina c'entra ben poco con quello che si racconta nel lungometraggio: troppo bella, pulita e truccata per una civilta' che vive senz'acqua...).
Ancora: colonna sonora interessante, e il cameo di Malcolm McDowell ne vogliamo parlare?