venerdì 12 marzo 2010
THE HURT LOCKER, L'ORGOGLIO SENZA RIFLESSIONE
Uno dei migliori film del 2008 è stato "Nella valle di Elah", di Paul Haggis. Una pellicola scandalosamente ignorata agli Oscar, sia per le interpretazioni (Tommy Lee Jones da brividi, Charlize Theron forse al suo massimo) sia per la sceneggiatura. Il buon Haggis, già sceneggiatore di "Mystic River" e "Letters from Iwo Jima" per Eastwood, ha buttato giù lo script del film insieme al giornalista Mark Boal.
Lo stesso Boal ha scritto per Kathryn Bigelow "The hurt locker". Vincitore di 6 premi Oscar: regia, film, sceneggiatura originale, montaggio, sonoro, montaggio sonoro.
In entrambi i film si parla di Iraq. Con Haggis lo immaginiamo. Ma al tempo stesso lo respiriamo. Con la Bigelow lo vediamo e lo temiamo. Due storie diverse. Due film di grande spessore. Ma perché uno è stato ignorato dall'Academy mentre l'altro ha trionfato? Proviamo a spiegare.
Il bivio parte dal messaggio. Il film di Haggis si concludeva con un vero e proprio affronto all'orgoglio militarista statunitense. Hank Deerfield, che ha perso un figlio ucciso dai suoi stessi amici commilitoni, issa la bandiera a stelle e strisce...al contrario. Nel linguaggio militare, una bandiera issata capovolta veicola un messaggio di aiuto per disastro. L'aiuto per una Nazione che ha perso l'Etica e la Morale.
Viceversa nel film della Bigelow non c'è nessuna richiesta d'aiuto. C'è un coraggioso artificiere (il bravissimo Jeremy Renner) che, dopo aver rischiato continuamente la vita, si ritrova a guardare in stato catatonico un enorme scaffale di un supermercato dal quale traboccano scatole e scatole....di cornflakes.
Le metafore pareggiano per potenza. I film sono stati scritti dalla stessa persona. Ma se da una parte c'è l'orgoglio della Nazione, dall'altra c'è la vergogna. E l'orgoglio può trionfare agli Oscar, la vergogna assolutamente no.
Peccato che la sceneggiatura di "Nella valle di di Elah" sia mille volte superiore a quella di "The hurt locker". Il senso di smarrimento dell'ex ufficiale Tommy Lee-Jones, repubblicano convinto che poco a poco realizza come la guerra sia capace di generare mostri, non può essere paragonato alla triste parabola dei soldati della Bigelow. Stilisticamente perfetto, montato da Dio, fotografato alla grande, girato in maniera coraggiosa, "The hurt locker" crea un'atmosfera imbottita di ansia e angoscia che però non scatena nè una riflessione autocritica nei soldati (semmai timidamente accennata), nè aiuta a capire perché questi ragazzi possano effettivamente rimanere senza emozioni, legati soltanto all'adrenalina da battaglia. Soldati coi quali condividiamo per due ore paure e e rischi. Ma questo succede solo grazie alla sapiente mano della Bigelow, che con la macchina da presa coinvolge lo spettatore al punto di non farlo quasi più respirare.
Paul Haggis invece aveva parlato al cuore. C'era riuscito illustrando l'ampio spettro dei nemici dell'animo umano: ambiguità, superficialità, solitudine, rabbia.
Complimenti alla pellicola che ha trionfato agli Oscar. Ma se vogliamo parlare di capolavoro meglio rivolgersi altrove. Stanno chiedendo aiuto.
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